Il ritorno dell’orso e del lupo in territori da cui erano scomparsi rappresenta un traguardo significativo per la conservazione della biodiversità in Italia, un obiettivo generalmente riconosciuto come bene comune. Tuttavia, la presenza concreta di questi grandi carnivori – che attraversano pascoli, si avvicinano ai centri abitati, predano il bestiame – genera dinamiche complesse: le comunità locali e gli allevatori vivono quotidianamente l’incontro con questi animali e avanzano proposte di gestione che spesso non coincidono con quelle di altri gruppi sociali – animalisti, ambientalisti, operatori turistici e appassionati di natura – i quali, da posizioni e contesti diversi, interpretano differentemente il significato di questa convivenza con la fauna. In questo intreccio di visioni, orsi e lupi emergono attraverso le narrazioni che ne fanno i diversi attori coinvolti. La specificità del progetto Feraltalks sta nel riconoscere come la gestione della fauna selvatica sia inscindibile dalle dinamiche sociali ed economiche del territorio: mediante interviste, questionari, simulazioni negoziali e role-playing, il progetto confronta prospettive differenti su come condividere gli stessi spazi con questi animali, esplorando soluzioni che tengano conto tanto delle necessità faunistiche quanto di quelle delle comunità locali – quelle che più direttamente sostengono i costi di questa coesistenza. L’attenzione ai processi partecipativi mira a una conservazione democratica che faccia emergere, attraverso il dialogo, pratiche culturali condivise di convivenza territoriale.
Il progetto proposto è volto a decostruire i movimenti del lupo in aree specifiche di ricerca attraverso le riprese delle fototrappole: strumenti spesso utilizzati per monitorare la fauna selvatica o per scopi di sicurezza, ma anche simbolo evidente della paura e della conseguente volontà di controllo da parte dell’uomo sull’animale. Le fototrappole hanno rivoluzionato il modo in cui viene documentata la presenza della fauna selvatica. A differenza delle tracce – impronte nel fango, escrementi, peli sui recinti – che richiedono interpretazione e possono generare incertezze, le immagini forniscono prove dirette e continue. Rivelano pattern di movimento, preferenze di habitat, dinamiche familiari/di gruppo/etologiche che le osservazioni occasionali non potrebbero mai catturare. Questo tipo di monitoraggio sta mostrando una realtà spesso invisibile: la coesistenza non è un obiettivo da raggiungere bensì una condizione che di fatto si realizza quotidianamente attraverso meccanismi di separazione temporale e spaziale. Per esempio, mentre gli umani occupano il territorio durante il giorno, molti carnivori utilizzano gli stessi spazi nelle ore notturne. Ogni fotografia di un lupo che attraversa una strada di montagna o di un orso che si muove ai margini di un centro abitato testimonia strategie adattive che si stanno sviluppando spontaneamente. L’Italia in particolare, con un’altissima densità abitativa e una storia di antropizzazione capillare, rappresenta un caso studio unico. Si parla di territori dove mancano spazi “incontaminati” nel senso tradizionale, dove si verifica il ritorno spontaneo di specie un tempo estinte localmente.
